In mancanza di un legittimo impedimento, costituisce illecito disciplinare quello del difensore che non partecipi all’udienza, né nomini un sostituto processuale. E’ quanto emerge dalla sentenza del Consiglio Nazionale Forense del 25 giugno 2022, n. 107 (testo in calce).
Il caso vedeva un avvocato essere chiamato a rispondere della violazione dell’art. 26, comma 3, CD, per non aver partecipato, senza addurre alcun impedimento, ad alcune udienze ed in particolare all’udienza dibattimentale di discussione nell’ambito di un procedimento penale, facendo mancare la cliente una adeguata difesa tecnica, e per aver fatto scadere i termini per appellare la sentenza di condanna pronunciata all’esito del dibattimento in oggetto e violazione dell’art. 12 CD, per avere tenuto nel corso del mandato difensivo conferitogli una condotta complessivamente improntata a grave negligenza.
Secondo il ricorrente, alcuni dei capi dell’incolpazione erano già prescritti al momento della contestazione per il decorso di 6 anni o comunque si sarebbero prescritti per il decorso del termine massimo previsto; infatti, le violazioni contestate hanno natura istantanea e si sarebbero consumate nel momento in cui sarebbero state poste in essere, quindi nella mancata partecipazione alle udienze e alla mancata presentazione dei motivi di appello avverso le sentenze emesse nei confronti della esponente.
Secondo il Collegio, in mancanza di un legittimo impedimento, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il difensore che, per non scusabile e rilevante trascuratezza, non partecipi all’udienza, né nomini un proprio sostituto processuale o di udienza, a nulla rilevando, peraltro, l’eventuale assenza di concrete conseguenze negative o addirittura la presenza di vantaggi per il proprio assistito, giacché ciò non varrebbe a privare di disvalore il comportamento negligente del professionista. Trattasi di illecito deontologico di natura istantanea e non permanente.
Sebbene alcuni degli illeciti contestati siano caduti in prescrizione, si ritiene che il parziale accoglimento dell’impugnazione non impone una corrispondente riduzione della sanzione comminata dal Consiglio territoriale, giacché questa è determinata non già per effetto di un mero computo matematico né in base ai principi codicistici in tema di concorso di reati, ma in ragione dell’entità della lesione dei canoni deontologici e dell’immagine dell’avvocatura alla luce dei fatti complessivamente valutati, sicché non sussiste violazione del divieto di reformatio in peius allorché la sanzione sia confermata in sede di gravame pur se una delle contestazioni precedentemente ritenuta sia venuta meno.